C’era una volta il West: a San Salvatore del Sinis in Sardegna

C’era una volta il West: a San Salvatore del Sinis in Sardegna


Esisteva in Sardegna il vecchio West che alcuni registi decisero di collocare nel Sinis, a pochi chilometri da Oristano.
Il grande cinema del dopoguerra, si quello western, mise gli occhi su un agglomerato di case sorte attorno ad un grande e polveroso terreno: il paesello di San Salvatore.

Era il 1960, e questo centro meglio noto come “il paese degli scalzi“, per via di un bellissimo evento religioso che si ripete tutti gli anni (il primo weekend di settembre), subì delle modifiche.
Venne realizzato un finto pozzo, riadattata una grande casa che assunse le sembianze di un Saloon con tanto di ambiente ausiliario con le celle per i detenuti. 

Non solo: fu realizzato un patibolo per le impiccagioni. Il tutto funzionale alla macchina da presa che iniziò a girare film western genere artistico allora molto popolare, caratterizzato dall’essere ambientato nell’ovest degli Stati Uniti d’America, il cosiddetto vecchio West, territorio di frontiera fino a quasi tutto il XIX secolo.
Così ci hanno sempre detto ma invece anche la Sardegna ha dato il suo contributo girando, -: esempio tra i tanti, il film Giarrettiera Colt”.

Poi, per San Salvador, il declino: i costi di trasporto dei materiali e degli spostamenti di attori e troupe, divennero esorbitanti. Niente più western a San Salvatore di Cabras. Ma nella romana Cinecittà. 
Ladri e sciacalli si sono portati via molto delle location in salsa far west, mentre un incendio distrusse il saloon.
Però le case vecchie di San Salvatore sono ancora la, come sospese tra ieri e oggi, in un paesello dove il tempo, come per magia, si è fermato.

Nel villaggio è possibile ammirare un tempio ipogeo, santuario pagano di epoca nuragica a cui si accede da una grata e nelle cui stanze sotterranee si trova un pozzo. 

L'ipogeo era dedicato al culto delle acque, ritenute medicamentose, ed il culto proseguì anche in epoca cristiana.
Attorno al pozzo si sviluppano quattro vani, scavati nella roccia viva, dove sono presenti raffigurazioni di vario tipo, un tempo intonacate con pitture di notevole valore artistico.

Si vedono qua e là iscrizioni in latino, arabo, greco, probabilmente secondo uno schema di valore magico. Una iscrizione punica, rufu=guarisci, indica dove forse si verificava una forza guaritrice.

Un po' in tutte le stanze ci sono disegni di navi di varie dimensioni, a testimoniare appunto che il luogo era frequentato da marinai e pescatori della zona. Una di queste è la rappresentazione fantastica di una nave che ha come prua una testa d'animale, invece un'altra riproduce forse un galeone spagnolo. In un'altra stanza di vede una figura umana che invoca salvezza durante un naufragio.


Nelle epoche passate i naufragi erano molto comuni e salvarsi suscitava riconoscenza verso la divinità e conversioni.
Nel sei-settecento l'ipogeo venne utilizzato come luogo di sepoltura di appestati, lo fa credere il fatto che venne ritrovata una grande quantità di scheletri. 
Per la maggior parte dell’anno il borgo di San Salvatore è disabitato, ma la prima domenica di settembre, come per magia, il paese si anima in occasione dei festeggiamenti per il Santo e si ripete la tradizionale “Corsa degli Scalzi”, una processione che vede i fedeli impegnati a trasportare di corsa e a piedi nudi (da qui il particolare nome) la statua di San Salvatore da Cabras a l’omonimo borgo, percorrendo una distanza di circa 7 Km.


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